Borghi Enrica

Enrica Borghi, nata nel 1966, vive e lavora a Novara. Dopo gli studi all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, inizia l'attività espositiva nel 1992, utilizzando come mezzo espressivo la fotografia o creando installazioni realizzate con materiali di recupero. Nel 1993 partecipa al progetto Borderline, curato da Andrea B. Del Guercio presso l'ex convento dei Serviti di Maria a Monteciccardo. Nel 1995 espone allo Studio 10 di Vercelli la grande installazione Le Larve, composta da vecchi mobili in legno smontati di una camera da letto sui quali compaiono larve bianche realizzate con sapone di Marsiglia e, lo stesso anno, partecipa a numerose rassegne tra cui Nuovi Arrivi alla Galleria San Filippo a Torino e Dis-Loc-Azione a Bologna.
L'anno successivo tiene la personale Dulcis in fundo alla Galerie Angelo Falzone di Mannheim in Germania dove espone sottovesti composte con biscotti, e biancheria intima, realizzata con caramelle. Nello stesso anno alla Galleria Alberto Peola di Torino presenta abiti femminili, realizzati con materiali di recupero come sacchetti da supermercato, etichette, carta da confezioni e una serie di Veneri: busti e statue della tradizione classica ricoperti di unghie finte e piume, o ornate di bigodini e bottoni automatici. Sempre nel 1996 è invitata a rassegne tra cui Presentazioni, al Centro per l'Arte Contemporanea Viafarini a Milano, con una personale curata da Francesca Pasini, e Piazze d'artista, organizzata dall'Associazione Arte Giovane, al Salone del Libro di Torino. Nel 1997 prende parte alla mostra "Trash: Quando i rifiuti diventano arte", curata da Lea Vergine al Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, a Trento, ed è invitata alla Biennale Internazionale Giovani di Torino. Sempre nello stesso anno realizza il video Rifiutata, regia di Willy Darko, testo di Massimo Melotti. Nel 1998 espone nella collettiva Pollution presso la Galleria Claudia Gian Ferrari Arte Contemporanea a Milano ed è invitata alla rassegna Luci d'artista a Torino.
La ricerca artistica di Enrica Borghi si incentra sull'uso di materiali di recupero attinti da quello che convenzionalmente viene considerato universo femminile. Sacchetti di plastica, unghie laccate, ciglia finte, bigodini vengono utilizzati, attraverso il recupero di una certa manualità femminile, per la rivisitazione ironica dell'immagine stereotipata della donna.
L'attenzione per i materiali di recupero, intesi come prodotti delle storture del consumismo, e per la componente onirica del mondo femminile e domestico sono le tematiche a cui fa riferimento anche la Regina, installazione per i bambini, il lavoro che l'artista ha espressamente realizzato per il Castello di Rivoli. Al terzo piano del museo, Enrica Borghi espone questa grande installazione, un abito di dimensioni gigantesche che evoca le regine delle fiabe, ma che svela ben presto al visitatore altri percorsi segreti. In occasione della mostra il dipartimento educazione propone una serie di laboratori e di attività didattiche.
Enrica Borghi ha indirizzato sin dagli esordi la propria ricerca verso l'utilizzazione dei materiali di scarto, una tematica peculiare di questo fine millennio. L'artista pone l'accento su come l'esasperata produzione coinvolga e modifichi i rapporti sociali. I rifiuti o, da un'ottica opposta, i materiali di recupero sono riconosciuti, ormai a pieno titolo, quali emblemi distintivi della nostra società, segnata dal consumismo. L'artista se ne appropria tramutandoli da oggetti privi di valore, non solo economico, in materiali d'uso creativo, facendone scoprire un'insospettata qualità, oltre che concettuale, funzionale e didattica. Enrica Borghi ha espressamente ideato la Regina per il Castello di Rivoli, un lavoro realizzato utilizzando oltre cinquemila bottiglie di plastica scartate e un quantitativo non definibile di sacchetti di plastica.
L'esito finale è un gigantesco abito-installazione (altezza quattro metri, diametro cinque metri, lunghezza otto metri), in cui gli scarti del consumismo divengono preziose stoffe, e che evoca, con la sua presenza misteriosa, il personaggio dell'iconografia fiabesca. In esso la texture sembra abbandonare la sua funzionalità per divenire superficie pittorica formando un linguaggio di segni astratti, primari e dinamici che mutano, percorsi dalla rifrazione della luce, di intensità e colore. L'abito, costruzione di materiali di scarto, si trasforma in luogo di incanto e seduzione. Si pone come tramite verso il mondo dell'onirico ed invita il pubblico, non esclusivamente più giovane, a scoprire fra le sue pieghe, itinerari segreti che dal mondo della fiaba possono portare ai territori dell'io inconscio.

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